La memoria del Belice
GIBBELLINA (TP) - 15 Gennaio 2011
La comunità della Valle del Belice, a 43 anni dal terribile sisma (15 gennaio 1968), ripercorre la sua storia attraverso un progetto per il recupero e la valorizzazione della “memoria” del territorio. L’iniziativa “Le terre che tremarono”, in corso da due anni, è realizzata da Cresm, Clac, Le Mat e Cooperativa Eco Culture e viaggi con il sostegno della Fondazione per il Sud.
Il titolo del progetto è stato scelto in riferimento più che al terremoto ai “sommovimenti” politici e sociali che già dalle lotte contadine degli anni ‘40 caratterizzarono la storia della Valle del Belice. Le tracce di quegli avvenimenti, come ad esempio le foto, i video, le testimonianze, le cronache e i racconti, sono state raccolte ed elaborate in un costante lavoro di ricostruzione dell’identità culturale del territorio, per essere trasmesse alle nuove generazioni all’interno di uno spazio della “memoria viva”.
Lo Spazio Epicentro/Belice aprirà a Gibellina (Tp) il prossimo 5 marzo, anniversario della Marcia per la Sicilia Occidentale del ‘67 che vide migliaia di persone e intellettuali venuti da tutto il mondo, accompagnare Danilo Dolci e Lorenzo Barbera da Partanna a Palermo, per chiedere condizioni di vita più dignitose per i siciliani.
In occasione dell’anniversario, abbiamo voluto fare un punto sul progetto con le testimonianze dirette di chi attivamente è impegnato nell’iniziativa e mostrando alcune delle testimonianze raccolte, attraverso le foto donate da Toni Nicolini e gli scatti dei giovani fotografi siciliani che hanno ripercorso quei luoghi. Le immagini sono pubblicate su REPUBBLICA.IT
Cristina Alga, CLAC
Sono passati due anni da quando è cominciata l’avventura del progetto “Le terre che tremarono” nella Valle del Belice. Non si contano più le volte che da Palermo ho percorso guidando l’autostrada costruita dopo il terremoto, la grande opera, tra le poche realizzate e funzionanti, per un territorio devastato. Ho visto pendii e colline cambiare colore secondo le coltivazioni stagionali, ho visto tutte le luci possibili del cielo, ogni volta lo penso e ogni volta mi sorprende con sfumature diverse perchè è qualocosa di indicibile la luce del cielo in questa valle, bisogna venire qui e immergersi.
Del terremoto del 1968, in Sicilia e nel mondo, tutti sanno ma pochi sanno il prima e il dopo, le condizioni di vita, le lotte, il passaggio turbato dalla tradizione alla modernità, la mafia, la politica.
Lavorare al progetto è stata un’esperienza intensa di ricerca, scoperta e relazione.
Abbiamo incontrato, conosciuto, conversato e ragionato con tante persone che hanno vissuto attivamente gli anni delle lotte sociali prima e dopo il terremoto: protagonisti politici, giovani impegnati, architetti utopici. Abbiamo immaginato la vita nelle baracche come miseria e come solidarietà, ascoltato le storie di chi ci ha vissuto, raccolto foto e documenti.
Le persone del Belice, gente forte e agguerrita, oggi fiaccata da anni di assistenzialismo, corruzione, politiche di sperpero della cosa pubblica, l’abbiamo incontrata paese per paese, ascoltato immancabili lamenti e recriminazioni dove in ogni paese ancora si aspettano chissà quali “soldi che il governo deve ancora versare” ma anche e per fortuna abbiamo sentito chi la “ricostruzione” la intende come sfida quotidiana per un futuro migliore, chi crede nelle possibilità di sviluppo imprenditoriale, nelle risorse naturali e culturali che qui abbondano nonostante tutto.
Con tutti i partner abbiamo incontrato gli abitanti dei 15 comuni e creato con loro e per loro una prima bozza di mappa di comunità delle risorse della valle, segnando luoghi e storie significative – che danno senso- identitarie.
CLAC ha coinvolto gli abitanti in esperienze di partecipazione attraverso il teatro con l’autore e narratore Alberto Nicolino, il video con la regista Rossella Schillaci, la scrittura creativa e autobiografica con la scrittrice Carola Susani, la fotografia con la fotografa Antonia Giusino.
Il Belice è un concentrato di storie e riflessioni politiche, culturali e sociali. Puoi leggere tutto questo negli occhi limpidi di Lorenzo Barbera che qui ha lavorato, lottato e ancora oggi, nella baracca Martin Luther King trasformata in casa accogliente, vive.
Tutto sembra già successo qui, nel bene e nel male e il terremoto, liberazione di energia potente e distruttiva ha come messo in luce le cose: luce violenta puntata su rotture, ricuciture, utopie politiche e disillusioni, emigrazioni, fallimenti e piccole grandi vittorie come il verde in autunno e primavera di queste colline, che ho imparato a conoscere ed amare e che non esisterebbe senza anni di lotte contadine per la costruzione delle dighe.
Alessandro La Grassa, CRESM
Per noi del CRESM raccontare la storia del Belìce, dagli anni cinquanta ad oggi, a chi del Belìce conosce solo il terremoto e le polemiche della ricostruzione è una bella fatica, ma alla fine ne vale sempre la pena.
Perché nella nostra storia tutti gli stereotipi che affossano la Sicilia e il Sud sono spesso ribaltati. La prima a saltare è l’apatia che viene affrontata e sconfitta, nel 1956, con uno “sciopero alla rovescia” in cui un centinaio di braccianti e disoccupati, guidati da Danilo Dolci, aggiustano a Partinico una trazzera demaniale. Mostrando cosi a tutta l’Italia che il lavoro c’è, se ognuno fa la sua parte, Stato compreso, e per questo saranno arrestati.
Anche il familismo esasperato nella nostra storia non compare, anzi ci sono Comitati Cittadini in tutti i comuni della Valle, a partire dal 1960, e ci sono spianate di contadini con la coppola, donne con i figli, tecnici, studenti, artisti e sindaci visionari, che dibattono pubblicamente a Roccamena e in tutto il Belice, aiutati da Lorenzo Barbera e altri volontari del Centro Studi di Dolci, su come organizzarsi per cambiare volto a tutta la Valle attraverso scuole, strade, dighe, vigneti, uliveti, cantine sociali e frantoi. E poi ci sono digiuni collettivi, marce per lo sviluppo e per la pace, per testimoniare che il mondo lo si cambia tutti insieme, a cominciare dal Belìce.
La mafia c’è, e non solo non è ossequiata, ma addirittura è pubblicamente denunciata, con nomi, cognomi e ‘nciurie , anche quando si nasconde dietro il paravento della politica.
Lo spreco invece verrà, dopo il terremoto del 1968, ma è soprattutto uno spreco di tempo, di carte e di gente che dovrà emigrare, che impedisce al Belìce di rialzarsi in breve tempo come avverrà invece in Friuli.
Perfino la siccità nel nostro racconto scompare, perché i contadini sanno che l’acqua c’è, tutta quella che serve, ma la devono strappare prima ai fiumi, con le dighe e poi al controllo mafioso.
Di questa storia noi abbiamo le prove: si tratta di stupende foto in bianco e nero, di giornali e di lettere di sostegno da tutto il mondo, di progetti di sviluppo, di resoconti stenografati e filmati. Ma soprattutto abbiamo il paesaggio della Valle del Belìce che è in gran parte diventato un susseguirsi di vigneti, uliveti e altre coltivazioni; abbiamo le cantine e i frantoi, abbiamo le dighe sullo Jato e sul Belìce.
Alcune di queste prove le vogliamo mostrare alle nuove generazioni nel nuovo Spazio della Memoria Viva. Perché sia chiaro che il futuro va inventato insieme, e noi vogliamo continuare a dare il nostro contributo.
Il resto lo mostreranno i giovani del Belice, che stiamo aiutando a organizzarsi in cooperative turistiche, accompagnando i viaggiatori e le scuole attraverso i paesaggi, le campagne e le città antiche e nuove di questa splendida Valle.
PS:
Dimenticavo: alla fine del racconto la gente di solito ci guarda strano:”se non è una favola, deve essere stato davvero un terremoto…”
Renate Goergen, Le Mat
…si, c’eravamo anche noi, volevamo sostenere le tante forme di imprenditorialità sociale che si sviluppano dovunque nel meridione, sicuramente anche nella Valle.
Avevamo letto Danilo Dolci, scoperto dovunque le sue tracce, incontrate persone e associazioni in giro per il mondo e letto i suoi libri e scritti, davvero un lavoro innovativo! Ma come scoprire e incontrare l’intrapresa sociale e costruire insieme alle tante facce una progettualità di valorizzazione delle tante storie della Valle, fare in modo che i viaggiatori curiosi potessero scoprirle?
Abbiamo proposto di non dare per scontato niente, di cercare le diverse comunità, di farci raccontare cosa era successo e cosa succedeva….abbiamo proposto di “mappare” attraverso incontri diretti con gli abitanti. E così siamo andati nei paesi a cercare le persone, le associazioni, le tante iniziative. E abbiamo scoperto che c’era tanta voglia di fare ma spesso non si sa COME fare e così abbiamo oprganizzato un corso/percorso di progettazione di un sistema locale di turismo di comunità.
Dobbiamo cercare viaggiatori curisi di quello che qui nella Valle del Belìce è davvero speciale e per farlo dobbiamo capirlo noi, insieme a loro. Si è lavorato molto, da aprile 2010 a luglio, più di 100 ore in diverse località….tanti piccoli progetti da aggregare e da gestire…costi e ricavi e marketing, marketing, marketing…tribale ovviamente. Certo, la precarietà non favorisce la nascità di nuove imprese ma ce la faremo.