Speciale CON IL SUD / Odissea del Golfo

NAPOLI - 14 Novembre 2011

Speciale “Con il Sud – Giovani e Comunità in rete” (Napoli, 30 settembre – 2 ottobre 2011)

Odissea del Golfo, dalla Sanità a Bagnoli due giorni a piedi tra le pieghe di Napoli

Abbiamo iniziato alle 10 di mattina. Arriva tanta gente, chi diceva che a Napoli nessuno si mette a camminare senza motivo viene smentito. Siamo almeno 80-90 persone, aspettiamo il responso definitivo in merito al passaggio attraverso le catacombe di San Gennaro forse chiuse in previsione della visita del Presidente Napolitano. Si può passare, iniziamo a scendere, per molti, soprattutto non napoletani, è la prima volta.
La meraviglia e poi la sorpresa, dalle catacombe entriamo nell’ospedale San Gennaro per ritrovarci in strada nel Rione Sanità. Qui la passeggiata si fa azione, progetto, ci incamminiamo sulla salita dello Scudillo. Un semplice guardrail in cemento di traverso sul percorso sancisce da più di venti anni l’inaccessibilità di un antico percorso che collegava la città alle prime campagne, poi diventate popoloso quartiere, i Colli Aminei. Come spesso accade, la chiusura ha trasformato la strada in un deposito di immondizie che diventano una vera e propria discarica
quando la strada viene sormontata dalla tangenziale. Di lì in poi è la natura ad essersi riappropriata del percorso che inizia ad inerpicarsi tra gli speroni tufacei dei Colli Aminei. Selvaggio, meraviglioso. Procediamo in fila indiana, con grande cautela, dopo aver avvisato tutti che sotto il manto di rampicanti a terra si nascondono pericolose insidie: molti tombini, rimossi per esser venduti come ferro, lasciano dei buchi spesso invisibili e molto pericolosi. Il vociare distratto del nostro variegato corteo si trasforma in silenzio, ora c’è bisogno di fare attenzione, di darsi una mano, persone sconosciute fino a mezz’ora prima iniziano a collaborare, ad avvisarsi dei potenziali rischi, solo qualche voce si leva sono quelle persone più grandi che ricordano quando lì si poteva passare e quanto importante fosse riaprire insieme questo percorso.
Sbuchiamo in un normale quartiere nel giorno di mercato, anche la normalità inizia a stupire se raggiunta in maniera così anomala.
Attraversiamo rapidamente il quartiere per imboccare la strada vecchia di San Rocco, ancora un antico percorso per attraversare l’omonimo vallone. Arrivati al ponte non lo attraversiamo ma iniziamo a scendere nel vallone, una forra tra due pareti di tufo sempre più alte e strette sui cui fianchi si aprono cave sotterranee usate per millenni. Entriamo in una di queste, il cui accesso sembra l’orecchio di Dioniso a Siracusa, è stata trasformata in un deposito di materiali e chincaglierie, un rigattiere infinito: statue di bronzo, lampioni, panchine, ovunque ceramiche, roba vecchia, uno spettacolo affascinante quanto improbabile che solleva dubbi e discussioni sull’uso reale e possibile di quello spazio.
Seguiamo il fondo del vallone per riemergere nella zona ospedaliera, usciamo dal bosco in un’area sotto sequestro. Grandi movimenti di terra, preludio a qualche iniziativa illegale, hanno disegnato un ampio terrapieno senza vegetazione, lo attraversiamo alzando polvere, c’è chi dice che continuerà a vigilare perchè abusi così non se ne perpetrino ancora.
Pochi passi attraverso un incrocio e giù lungo la strada per Chiaiano, la lasciamo subito con una svolta a sinistra, dietro i palazzi, si distende un’azienda agricola, è la stagione della maturazione delle mele annurche, un gruppo di belle signore per lo più rumene è in pausa pranzo, accasciate a terra accanto alle migliaia di mele depositate sul suolo in file regolari. Le devono girare quattro volte, ci spiegano, per farle maturare. Le annurche sono così, non maturano sull’albero, hanno bisogno di un grande lavoro, come ci raccontano sorridenti le contadine rumene e poi anche uno dei proprietari dell’azienda che quando ci invita ad assaggiare le mele ci fa sentire il valore di quella fatica nel gusto così particolare.
Attraversata l’azienda, usciamo lungo il muro del cimitero di Chiaiano, davanti a noi la Selva che sale sui Camaldoli nei cui fianchi si aprono cave monumentali, davanti al cimitero un belvedere marcato da un origami di ferro, è di Bruno Munari, la prima di sette porte al parco, l’unica collocata in sito anche se l’accesso è occluso dall’immondizia. Ci interroghiamo su come oggi l’arte può contribuire a riaprire gli accessi del “parco”. Ci vorrebbe un’arte il cui aspetto materiale sia l’azione con falcetti e decespugliatori. Un’arte condivisa con la gente, un’arte che produce accessibilità fisica, culturale e sociale a questo mondo rimosso.
Pausa pranzo nell’azienda di Franco, sotto un tetto di cachi e noci che cadenzano il tempo precipitando a terra con suoni così diversi. Vino, pizze, frutta e dolci, un paradiso a due passi dalle case popolari di Chiaiano.
Per smaltire il pranzo, attraversiamo di gran leva nel fondo di un fosso la Selva. Entriamo nelle cave: che paesaggi, quanti possibili usi. A riportarci alla realtà l’odore acre di immondizia, scopriamo di ritrovarci sulla testa di una cava colmata a discarica con atto d’imperio imposto agli abitanti con cieca violenza. Una cicatrice ancora aperta che allontana i cittadini dallo Stato, la magistratura indaga per capire se nello Stato qualcuno, abbandonati i cittadini, non si sia nel frattempo avvicinato alla camorra.
Il cammino si fa marcia, l’obiettivo è raggiungere i 480 metri della vetta di Camaldoli per non perdere il meraviglioso tramonto che da lì si gode. Arriviamo, non esiste altra vista così ampia e bella sul golfo di Napoli.
E’ passato solo un giorno, ne abbiamo un altro davanti eppure sembra a tutti di essere già in viaggio da lungo tempo.

Lorenzo Romito, Associazione Stalker
http://odisseadelgolfo.wordpress.com

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